di Serena Vestene
Fermiamoci
Davvero non l’avremmo
mai pensato
che sarebbe stato
un messaggero veicolato
uomo a uomo
fiato a fiato
sputo a sputo
a rinsavirci sul risaputo
essere umani?
Ad inchiodarci nei luoghi violati,
a spugnarci le labbra d’aceto
durante il fioraceo profumo della primavera?
Ignara e schietta è la natura.
E l’aria quasi svuotata di piombo
si ripiomba d’astio.
Ustiona i polmoni di chi
non è colpito dal morbo.
Lo stesso morbo
del fuoco d’odio
a cui condanniamo la terra.
I contagi virali
hanno forme a corona,
per molti sono colpi letali
altri si ammalano l’ego
in condanne
da regime reale.
Fermiamoci.
Fermiamoci a pensare.
Questo tempo di isolamento forzato. Questo tempo dove ci viene imposto di muoverci solo per doveri (doveri legati al lavoro, alla professione; lo sfamarsi; il ricevere e prestare cure mediche). Questo tempo in cui ci viene richiesta unicamente responsabilità nei confronti di un solo aspetto della nostra salute, quella che può preservare anche quella degli altri dal virus. Questo tempo delle parole pesanti, dei media assillanti, degli altri addosso seppure a distanza, che in un batter di ciglia ce le affibbiano e che abbiamo fatto nostre, caricandocele senza esitazione sulle spalle. Per paura, per convinzione, per senso di rispetto – non importa quale aspetto abbia prevalso – Ma in una società liquida che da anni ormai ci sta guidando verso la ricerca del facile, dell’effimero, dello “smart” a tutti i costi, del veloce e sempre più veloce, della deresponsabilizzazione in nome di una libertà apparente, che in realtà ha il volto della delegazione delle nostre scelte, ora qualcosa di invisibile, potente, feroce ci ha imposto uno stop. E le parole forti che non ci appartenevano più si sono ripresentate alla porta.
E come ogni agente esterno, che interferisca in un sistema consolidato e solo apparentemente dinamico, porta crisi. Crisi nel riadattamento di ogni aspetto, anche quello che sembrava più banale del nostro vivere. Ed è in questi casi che emerge ogni fragilità, non solo del sistema, ma anche di ogni singolo individuo. Difficoltà di adattamento, perdita della lucidità, comportamenti a rischio si contrappongono a un’insensata psicosi e caccia all’untore. Due estremi che spaccano in due anche la stessa vita quotidiana ferma e immobile, e riporta in superficie quel senso di identità di gregge.
Ma c’è qualcosa di più grande che può portarci fuori dal tunnel: fare di questo tempo di crisi tempo di opportunità.
Non importa se stiamo lavorando come e più di prima. O se siamo forzatamente inattivi per imposizione delle circostanze. Non conta se il giardino fuori casa ci dà un senso di privilegiata mantenuta normalità. O le quattro mura senza balcone ci soffocano la vista anche più semplice dell’orizzonte. Questo è per tutti indistintamente un tempo non regolare, non consueto, di abitudini distorte, di modalità impensate, di pratiche rivisitate. E per affrontarlo occorre fermarsi e riposizionare tutti gli elementi sul piatto. Oppure lasciare che lo facciano gli altri per noi: gli altri intesi come i vecchi schemi ai quali aderire ancora il più possibile; gli altri intesi come chi ci guarda e giudica; gli altri intesi come i vecchi noi, plasmati, soggiogati, addormentati in anni di incalzanti novità virtuali, nuovi rituali, nuove routine digitali che ci hanno portato al sistema nei quali siamo inseriti. E che le circostanze ci hanno dimostrato che al di là di ogni nostra convinzione – attiva o passiva – è globalmente e planetariamente tutt’altro che inattaccabile.
Eccoci qui ora: nudi. Sia che lo vogliamo vedere o non lo vogliamo riconoscere, siamo alla pelle scoperta, le ossa esposte, scartavetrati dalla nostra stessa arroganza dei tempi moderni, digitali, sotto controllo, tutto alla portata di un click per chi ci sa arrivare.
“Sii della corsa e non rimarrai indietro, per te si aprirà il futuro!”
Quella voce si è adombrata, tenta ancora di fare breccia:
“Andrà tutto bene”
Ma la natura ci ha mostrato come tornare a guardare il cielo e come lei dal nostro stop stia ritrovando l’armonia. Recuperare certe parole sarà fondamentale: Buonsenso. Umanità. Ma soprattutto Armonia. Con il nostro sé e con ciò che intorno a noi è tornato a respirare, proprio quando ai colpiti dal virus è il respiro a mozzarsi – paradossale vero? Direi crudele, spietato …
“Si sta
come le tende
perennemente
alla finestra.”
Eppure, c’è armonia in questo sostare, in questo recuperare il valore del tempo, degli altri, del nostro corpo. C’è armonia nel lasciare che il pane lieviti e lievitino le nostre giornate come forse ci eravamo dimenticati, come forse non ci eravamo mai concessi succedesse, o non avevamo mai imparato a fare prima. Sostituiamo la parola paura, che ci renderebbe ancora più schiavi del sistema e inneggiatori della tirannia garantista, con la parola armonia. Tanto si sa che l’armonia avrà la meglio. L’ambiente ce l’ha dimostrato. La natura ce ne parla in silenzio. Gli equilibri si riprendono lo spazio. Sarà una scelta – di pochi, di molti – ma una scelta. Siamo chiamati a scegliere. A scegliere il nostro talento e metterlo a frutto. Oppure lasciarlo fagocitare via. Recuperare quella passione e farla germogliare. Oppure finire spezzati in un pensiero di massa. Tornare alle piccole cose, le cose basilari perché, inutile dirlo, ma senza le zolle della terra non c’è grattacielo che stia in piedi. Rallentare, armonizzare tutto con il ritmo del nostro cuore, non con i tempi di somministrazione di farmaci per i disturbi e gli aggravi di una non-vita, e che portano a un non-vita definitiva, e non solo per gli esseri umani …
Globalizzazione ha portato a “stare tutti sulla stessa barca” e gli individualismi a divenire pericolosi. Bizzarro per chi la pensava come la più alta forma di autonomia autodeterminante, vero?
Ma questo è il nostro momento più importante. Questo è determinante. Io lo sento. E voi?
La rinascita sarà bellissima !